Intervista a Francesco BRONZI di Pier Paolo Segneri

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Francesco Bronzi è uno dei maestri della scenografia italiana. Nella sua lunga carriera ha ricevuto innumerevoli premi e riconoscimenti, elencarli tutti sarebbe un’impresa  da archivista, che volentieri rimando ai cultori del genere.

Qui è sufficiente ricordare i tre David di Donatello come Miglior scenografia per il film Kaos dei fratelli Taviani, per la pellicola L’uomo delle stelle di Giuseppe Tornatore e per Canone inverso di Ricky Tognazzi. Senza dimenticare il Nastro d’Argento vinto a Venezia per L’uomo delle stelle e il Ciak d’Oro ottenuto ancora una volta per Canone inverso.

Ripercorrere l’intera carriera di Francesco Bronzi appare una fatica assai più improba di quanto un lettore distratto possa immaginare. Ufficialmente, Bronzi ha cominciato nel 1963 come assistente scenografo per il film I tre volti della paura, diretto da Mario Bava. Dopo un periodo di apprendistato e la consueta gavetta professionale come assistente scenografo, trovarobe, assistente costumista, arredatore, ambientatore, il suo vero esordio cinematografico può essere considerato Queimada, capolavoro del 1969, regia di Gillo Pontecorvo, con protagonista il grande Marlon Brando. A seguire, tutta una serie di titoli celebri che spaziano dalla commedia all’avventura, dal poliziesco al genere biografico, dal drammatico al comico e non soltanto per il cinema, ma anche per la televisione. Insomma, Francesco Bronzi è un protagonista, oltre che un testimone oculare, della storia del cinema italiano degli ultimi 50 anni.
Attualmente è impegnato, insieme all’amico e collega Dante Ferretti, alla progettazione di un Museo che ospiterà anche una Scuola di Musica.
Abbiamo avuto modo di incontrarlo, di conversare con lui e di intervistarlo.

Oltre al Francesco Bronzi artigiano, scenografo e grande professionista, vi è anche un lato artistico che sta venendo fuori in questi ultimi anni, come definiresti la tua opera?

Cerco di rappresentare, in modo divertente, il mondo che ci circonda, filtrare la realtà attraverso delle forme e dei colori che fanno parte del mio e del nostro bagaglio culturale, dei sogni umani, delle aspirazioni di ciascuno.

Quando è nata questa voglia di intraprendere un tuo percorso artistico?

Mi è capitato in diversi momenti della mia vita, come fossero delle piccole parentesi, delle piccole necessità del momento, brevi ispirazioni. Poi, per lunghi periodi, ho abbandonato e ho ripreso a distanza di tempo. Pensa, ad esempio, che ho cominciato a dipingere gli Uccelli di Metallo nel 1979, come è capitato per l’Aquila di Bronzo che oggi come allora rappresenta una forte critica all’autoritarismo, all’arroganza, ai regimi totalitari.

E le tue opere più recenti?

Ho ripreso a dipingere nel 2013 e ho ricominciato disegnando donne costruite con femminilità, morbidezza, rotondità. Le ho chiamate le Veneri di Rame o Veneri di Metallo perché sono delle donne con un involucro di metallo e un cuore enorme, una straordinaria bellezza interiore, una sinuosità nelle forme.

Come sono nate queste Veneri di Metallo?

Sono nate perché mi sento molto attratto dal genere femminile, ma disegnare il corpo di una donna è stata sempre l’ispirazione di molti e tutti più bravi di me. Allora, ho pensato che avrei potuto dare una mia interpretazione della donna ispirandomi alla Venere di Willendorf, cioè a quella famosa statuetta di appena 11 centimetri d’altezza risalente all’età paleolitica e raffigurante una donna nelle sue forme più naturali: seno prosperoso, glutei grandi e fianchi larghi.

E così sono nate le Veneri di Bronzi?

Le Veneri di Bronzo, al singolare. Eccoti qualche esempio: Venere Pudìca, Venere in età avanzata, Anatomia di una Venere di Metallo, Venere di Metallo riposa sul Velluto, Veneri di Metallo si cibano di frutta. Ma ci sono anche dei soggetti maschili come questo: L’uomo di Metallo medita sula merda.

Che cosa vuoi trasmettere con queste opere?

Le mie Veneri rappresentano la Creazione, il sogno, la fonte di ogni nascita, la Natura, la vita. Sono morbide, lisce, piene di fiori mentre il metallo che le sostiene rappresenta la forza delle donne, la loro forza incommensurabile, come soltanto le mamme sanno essere quando si tratta di proteggere i loro figli. Sono donne indistruttibili, ma non sono donne fredde. Non hanno il volto perché la bellezza delle donne non sta nel volto, ma dentro di loro. La bellezza è tutta nell’interiorità. Se queste mie opere trasmettono qualcosa, se trasmettono un’emozione, bene. Altrimenti vuol dire che è tempo perso.

Credo che trasmettano allo stesso tempo forza e ironia. Che tecnica utilizzi?

Una tecnica mista: pennarello, pastello, china, disegno.

Dalle donne, però, sei ora passato al soggetto delle farfalle. Perché?

Sono farfalle moderne. Sono il mio sguardo colorato sulla realtà di oggi. Sono farfalle distratte, farfalle audaci. Infatti, le ali sembrano dipinte da Picasso o da Piet Mondrian. Cerco di raggiungere l’armonia tra forma e colore, in modo incisivo, anche se la Natura ha molta più fantasia del più grande degli artisti.

Che cosa sono le tue farfalle?

Sono un accostamento di colori dentro un disegno geometrico che soddisfa il mio senso estetico. Sono un gioco. L’artista gioca. E’ un gioco che l’artista sente di fare, che deve fare.

Possiamo immaginare che vi sarà presto un’età della Rinascenza per l’arte, la musica, la pittura, la poesia e la letteratura? Come accadde nel Rinascimento?

Viviamo in un’epoca che coincide con la caduta fisiologica della creatività, della bellezza e dell’ispirazione. Non possiamo farci niente, per ora. E’ una fase che va attraversata perché corrisponde al ciclo vitale, come accade con lo sport o per un atleta. Una nazione esaurisce la sua energia e ci vuole del tempo prima che ritorni. Adesso vi è come un appiattimento, il terreno è arido, non produce frutti. E’ una crisi artistica e culturale, creativa e intellettuale, durerà 30 anni ancora. Un nuovo Rinascimento è auspicabile, ma bisognerà attendere che ritorni un nuovo ciclo vitale.

di Pier Paolo Segneri

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