L'intervista di Giovanni Pirri con Emanuele Dabbono

Dabbono 4@EmanueleDabbono

Emanuele è un artista a tutto tondo. Spazia dalla musica scritta per sé a quella scritta invece per altri. In mezzo, tutta la sua storia che si lega anche ai libri. Ed è infatti l’aspetto letterario ad averci colpito in prima battuta: nel 2010 scrive Genova di Spalle; nel 2013 Musica per lottatori.

Il primo libro, in particolare, è da lui stesso concepito come un diario, un puzzle sceneggiabile, per far muovere il protagonista fra saggi, scemi del villaggio, morte e stupore (insomma l’ABC della vita). Senza mai sentirsi del tutto innocente ma nemmeno mai del tutto colpevole.

Emanuele in questo tuo rapporto con l’arte letteraria come ti percepisci? Mai del tutto innocente o mai del tutto colpevole?

Mi sento sicuramente in debito perché ho macinato tantissima letteratura nel corso degli anni. Ancora adesso vado a cercarmi le edizioni, anche in Inglese, di Robert Lee Frost, un poeta americano che amo. Le cerco in inglese per non avere il problema delle traduzioni.
Questo per dire che il mio rapporto con la parola parte da lontano .
Mio padre lavorava in una tipografia ed era solito portare a casa i libri scartati per un errore di stampa. Libri perfettamente rilegati ma con pagine bianche all’interno.
E’ stato allora naturale per me prendere la penna e iniziare a giocarci.
Dapprima è nato l’incontro con le parole senza senso, poi sono arrivate le prime avvisaglie di frasi che, a mano a mano, sono diventate dei meri tentativi di canzone, poesie, romanzi.
Da allora la mia vita è cambiata e, oggi, delle mie parole mi interessa la loro musicalità. Soprattutto quando le rileggo con la consapevolezza di ieri.

Un incontro che nasce mentre eri intento a fare altro?

Sì perché, oramai, negli ultimi anni sono stato come uno scriba amanuense praticamente mi sono tatuato il braccio di blu e anche il polso. Quando è arrivata la tecnologia tutto è cambiato e, ora, ovunque io sia, sono in grado di appuntarmi idee e di capire se funzionano oppure no. Anche se non volevo rinunciare alla penna, dopo 1500 canzoni dinanzi alle quali mi arrendevo per cambiare una frase, un passaggio, è stato inevitabile.
La tecnologia mi ha facilitato la vita e mi ha permesso di recuperare il tempo prezioso.

Quand’è per te il momento giusto di una canzone?

Il momento in cui la parte sensibile di me, innata, mi ritorna la misura della realtà nella quale mi immergo quotidianamente. Una fortuna / sfortuna che, a volte, mi ferisce ma della quale non posso fare a meno.
Mi facilita le cose perché sono sempre con le antenne alzate e se qualcosa mi dà il brivido allora sento che è il momento di fermare quel brivido. Che è poi la stessa emozione / sensazione che vivono i fotografi quando devono catturare l’espressività del mondo.
Mi sento un fotografo di viaggio.

Le fotografie possono rivelare verità mai viste ad occhio nudo. Tu cosa rivedi nelle tue?

Vedo spesso il mio essere rimasto in contatto, non soltanto con le mie radici, ma con la versione bambina di me.
Conservo lo stupore di chi è diventato padre di due splendidi figli e grazie al loro mondo fatto di ingenuità / semplicità / candore / purezza trova ristoro dalle tante brutture che ci sono in giro.
Io credo che il mestiere di chi scriva non sia solo quello di mandare dei messaggi ma di raccontare anche la bellezza che si nasconde sommersa dalle cronache della vita.
Nonostante gli episodi di Manchester o di Parigi, per citare i più recenti, la bellezza esiste / resiste e va raccontata perché in essa c’è la prova che siamo esseri viventi.

Nelle istantanee contenute nella tua biografia quanto hanno pesato certi incontri? Parlo dei Planet Funk e di Finaz?

Mi parli di due Universi paralleli, diversi, apparentemente lontani seppur fondamentali.
Da una parte l’anima più pop dei Planet Funk che mi ha permesso di entrare nella discografia dalla porta principale.
Dall’altra Finaz che è un chitarrista strepitoso ed è la parte di anima legata ai concerti e forse anche al concetto di gavetta.
In realtà questi due universi sono molto vicini tra di loro. Il comun denominatore che li affianca è la professionalità.
L’incontro con loro mi ha permesso di capire che una semplice canzone fatta in cameretta poteva avere un futuro. Anche perché prova ad immaginare che emozione sia stata passare dalla stanza di casa mia alla piazza del Duomo per esibirmi davanti a 200 mila persone.
Mi ricordo che lo stesso giorno feci l’apertura ad Avril Lavigne.

Nel tuo processo di crescita musicale pensi che il colore della “Terra” sia stato fondamentale. Meglio se “Rossa”?

I Terrarossa sono stata la mia band ufficiale per dieci anni. L’incontro con loro è avvenuto dopo esser uscito da Xfactor e aver incontrato Alessandro Guasconi, in seguito diventato il bassista e il produttore del gruppo. Assieme abbiamo costruito lo scheletro di una band davvero sui generis. Io a Genova loro a Siena. Le prove non esistevano e ci vedevamo solo sul palco.

Dabbono 5

Allora il titolo del vostro primo album “320” stava ad indicare i km che vi separavano e non la somma dei vostri kg come è stato invece per Tiziano Ferro con 111?

Hai azzeccato in pieno. Esprime la distanza ideale tra casa mia e lo studio di registrazione dove sono nati e sono stati incisi i nostri pezzi. Di questo numero mi colpiva anche la sua trascrizione in lettere (trecentoventi) e il duplice suono / significato che richiama, dal punto di vista tecnico, la qualità massima per un mp3 e, dal lato umano, i venti ai quali sei sottoposto quando devi (rin)correre la tua meta.

Una (rin)corsa che, ad un certo punto, materializza l’incontro con Tiziano Ferro?

Sì. Non finirò mai di decantare la persona che è Tiziano e l’artista che c’è in lui.
La sua capacità è quella di mettere tutti d’accordo grazie alla sua poliedricità che apre sempre a nuove sorprese.
Non è il classico interprete che si rifà ad un solo modello.
E la collaborazione autoriale che ho con lui permette di esprimermi senza alcun tipo di paletto. Al primo posto c’è una ricerca di bellezza.

Si dice che tra il dire ed il fare ci sia di mezzo il mare. Tra l’INCANTO e il CONFORTO, invece cosa c’è?

Ci sono più o meno 220 canzoni di cui 40 scritte assieme. C’è tantissimo lavoro. Sudore. Ma anche tantissima vita. Tutti elementi che trovano il loro filo rosso nella “SPERANZA” (che il futuro possa riservarci qualcosa di buono) perché sono tutte canzoni che attingono ad una Springsteeniana memoria e quindi è alta in me la convizione che un giorno “cammineremo nel sole”.

L’attenzione intesa come fiducia ricevuta fa maturare dentro il bisogno di restuirla. Qual è il tuo rapporto con la solidarietà?

Sono riuscito a fare cose miracolose grazie alla musica. La Musica che in certi momenti diventa necessaria. Soprattutto quando non è più solo un vezzo ma una realtà che produce cose serie. Da 10 anni sono testimonial in un festival che si chiama Alemante Festival. Insieme a tutti i comici di Colorado Caffè e Zelig partecipo attivamente alla settimana di eventi nei quali grazie ad un biglietto ad offerta libera raccogliamo fondi che vanno a favore dell’Ospedale Gaslini di Genova che tutela i bambini malati. Ogni anno riusciamo a raccogliere 40/50 mila euro tutti per loro.

Tu sei un tipo scaramantico? Puoi dire che il “Cornetto” porta fortuna?

Sì questo gelato se da una parte mi tormenta – in modo piacevole ovviamente, anche perché la mia carriera è iniziata vincendo il Cornetto Music festival – dall’altra mi accompagna constantemente.
Mi ha permesso, in passato, di far conoscere il mio nome e, oggi, a distanza di dodici anni, ha dato il là affinché scrivessi insieme a Tiziano una canzone, che è poi il brano ufficiale del brand.

Per quanto riguarda la tua carriera artistica si parla di sesto album in lavorazione. Quali anticipazioni puoi regalarci?

Sarà il mio disco “manifesto”. Si intitolerà TOTEM e conterrà, volutamente, sonorità scarne , acustiche fatte di chitarre, violini e violoncelli che evocheranno atmosfere irlandesi, sud africane. Ed è stato registrato in 3 giorni in una Chiesa. Non potevo chiedere di meglio.

Ultima domanda! Ci regali un messaggio?

“Qualunque cosa possa piovere dal cielo non bisogna mai perdere la speranza!!!”

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